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L’Art-bonus: opportunità che non fa di per sé fundraising

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Piano piano (troppo) si incomincia a parlare in maniera più determinata dell’Art-bonus, il recente provvedimento voluto dal Governo per agevolare il contributo dei privati a sostegno della cultura.

Vediamo di capire la portata di questo strumento sia per le sue potenzialità che per i suo limiti o criticità.

Innanzitutto stiamo parlando della possibilità di agevolare un privato che dona o investe soldi per la cultura riconoscendogli un credito di imposta pari al 65% in tre anni.

Lo spiego con un esempio pratico: chi dona 100.000 euro a favore di un’istituzione culturale pubblica, avrà uno sconto del 65% sulle tasse che deve pagare per quei 100.000 euro da utilizzare nell’arco di 3 anni.

Volete i riferimenti normativi? Eccoli: comma 1 dell’art. 1 del Decreto Cultura (Decreto Legge n. 83 del 31 maggio 2014), convertito con modificazioni nella legge 29 luglio 2014, n. 106. Ecco il testo completo del decreto e la circolare dell’Agenzia delle Entrate per la sua applicazione.

Art-bonus: vantaggi

Partiamo dai 3 punti positivi di questo decreto.

1L’Art-bonus non è solo per le grandi opere o per i grandi monumenti e istituzioni culturali. Infatti questo strumento riguarda le donazioni fatte a favore di qualunque istituzione o luogo culturale pubblico.

Il comma 1 recita che il provvedimento è:

Per le erogazioni liberali in denaro effettuate nei tre periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2013, per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, per il sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica e per la realizzazione di nuove strutture, il restauro e il potenziamento di quelle esistenti delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo.

Quali sono gli istituti culturali pubblici? Sono quelli definiti dall’articolo 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ossia:

…sono istituti e luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali.

Si intende per:
a) “museo”, una struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio;
b) “biblioteca”, una struttura permanente che raccoglie e conserva un insieme organizzato di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque supporto, e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio;
c) “archivio”, una struttura permanente che raccoglie, inventaria e conserva documenti originali di interesse storico e ne assicura la consultazione per finalità di studio e di ricerca.
d) “area archeologica”, un sito caratterizzato dalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistorici o di età antica;
e) “parco archeologico”, un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto;
f) “complesso monumentale”, un insieme formato da una pluralità di fabbricati edificati anche in epoche diverse, che con il tempo hanno acquisito, come insieme, una autonoma rilevanza artistica, storica o etnoantropologica.

Quanto, ad esempio, le biblioteche sono consapevoli che possono essere soggetti abilitati a far valere l’Art-bonus per i loro donatori? Quanto sono consapevoli che tutto ciò non vale solo per restauri o solo per quelle biblioteche che risiedono in edifici di grande valore artistico? Durante i nostri corsi alle biblioteche abbiamo potuto constatare che di tutto ciò non se ne ha quasi per nulla consapevolezza. Analogamente ci domandiamo: quante istituzioni pubbliche che fanno attività dello spettacolo sono consapevoli di tutto ciò? Crediamo poche.

2In secondo luogo, non è vero che l’Art-bonus riguardi esclusivamente gli enti pubblici. Infatti la legge recita che tale strumento è riconosciuto anche per le donazioni effettuate a favore dei concessionari o affidatari dei beni oggetto di manutenzione, protezione o restauro. Molti di questi sono soggetti non profit, quali cooperative o associazioni. Certamente non saranno i principali beneficiari ma certamente non sono esclusi dall’esserlo.

3In terzo luogo il Ministero istituirà un Sito che monitorizza non solo le donazioni liberali per la cultura (sarà necessario per i donatori iscrivere in questo sito le donazioni fatte) ma anche l’utilizzo di tali fondi. Seppure tale funzione di comunicazione non potrà garantire l’efficacia di tali finanziamenti certamente favorisce un’operazione di trasparenza nell’uso dei soldi, cosa che sta molto a cuore ai donatori.

Art bonus: punti critici

Vediamo ora i punti critici (sempre 3)

1Innanzitutto pensare che l’Art-bonus di per sé produca fundraising. È opportuno ricordare che un donatore ha un vantaggio fiscale nella misura in cui dona. Ma per donare bisogna convincerlo con proposte di fundraising intelligenti e innovative. Di per sé il vantaggio fiscale non basta. Agevola, ma non produce donazioni. Una ricerca del Centro Studi Gianfranco Imperatori (2009) ha messo in evidenza che solo il 15% dei privati afferma che sarebbe più invogliato a donare se ci fosse maggiore agevolazione fiscale. Ecco invece cosa li spingerebbe maggiormente a donare:

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Cosa spinge a donare.

Per cui, l’Art-bonus invece di rassicurare le istituzioni culturali dovrebbe allarmarle (in senso positivo, ovviamente!). Ossia: se non si mettono a fare fundraising seriamente, non sapranno cosa farsene di questo strumento.

Il rischio pertanto è che si tratti di un’occasione persa. E il tempo non è illimitato. Abbiamo l’impressione che se lo strumento non decolla nei primi anni difficilmente possa creare quei precedenti che fungano da traino per i privati più reticenti.

2In secondo luogo è debole l’idea che per mettere in moto il fundraising per la cultura bastino provvedimenti di questo genere. Le istituzioni pubbliche devono decidersi a dare vita ad una politica, anche e soprattutto nel settore culturale, per creare le condizioni di investimento, sensibilizzazione, professionalizzazione e controllo di qualità nel campo del fundraising. Di questo la Scuola di Roma Fund-Raising.it ha più volte segnalato l’urgenza.

3Il provvedimento crea, di fatto, pericolosi paradossi. Potrebbe generarsi una disparità, una competizione sleale tra tutti i soggetti che fanno fundraising per progetti di utilità sociale e per la comunità. Chi donerà 100.000 euro in cultura avrà maggiori agevolazioni di chi li donerà ad esempio per l’assistenza a soggetti svantaggiati. Una domanda sorge spontanea: chi ha deciso che la cultura è più importante dei servizi socio assistenziali, o della scuola, o dell’integrazione sociale e lavorativa dei soggetti svantaggiati? Se la donazione per la cultura fa risparmiare lo Stato (che di fatto può risparmiare ad esempio per il restauro di grandi monumenti) non è altrettanto vero per quei servizi che, a seguito della crisi economica lo stato non sostiene più. Ogni malumore del settore non profit è giustificato a tale proposito. Anche se tutto sommato non possiamo che essere contenti del fatto che finalmente lo Stato preveda una significativa agevolazione per i donatori.

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