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Coopsociali: occorre una svolta. Anche con il fundraising

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Quello sopra è il messaggio che mi è giunto ieri sulla casella di posta da Huffington post.

Altri titoli giornalistici ricalcano lo stesso stile: “Così le coop hanno riempito Roma di profughi e campi rom…”; “Gli immigrati rendono più della droga”; “La mafia nera nel business accoglienza“.

“Le cooperative sono il vero business”. Una frase pesante, tipica dei titoli giornalistici, che deve bucare e creare attenzione. Generalizzare per raccogliere quella ormai endemica sfiducia e indignazione dell’opinione pubblica. D’altro canto se non fai così non buchi, non vieni preso in considerazione.

Perciò, generalizzando la notizia riguardante una manica di mafiosi imbroglioni che ha usato il sistema cooperativo sociale per fare i suoi sporchi affari, si passa facilmente a dire che tutte le cooperative sociali esistono per fare affari alle spalle dei soggetti svantaggiati e grazie al favore di politici e amministratori corrotti. E a caduta quest’opinione verrà proiettata su tutto il settore non profit. Già, perché quella manica di farabutti ci tenevano a mettere in evidenza la dicitura “Onlus” accanto al nome della cooperativa!

La cosa mi fa alterare non poco visto che da anni mi capita di lavorare con cooperative sociali (rosse e bianche che dir si voglia), che si ammazzano dalla mattina alla sera per garantire elevati standard di qualità dei loro servizi, nonostante la carenza di fondi pubblici destinati a politiche e servizi sociali.

Quello che mi fa alterare di più, tuttavia, è la profonda debolezza di quelle organizzazioni di secondo livello che rappresentano il mondo non profit e in particolare quello delle cooperative sociali (le cosiddette centrali cooperative), incapace di garantire un alto livello di qualità del settore.

Il che vuol dire un cattivo uso dei rapporti con l’amministrazione pubblica, un pessimo uso dei tanti investimenti sulla formazione e il controllo di qualità (spesso fatti con fondi europei utilizzati per garantirsi entrate e non per investire in innovazione), l’incapacità di garantire a tutte le cooperative pari opportunità e criteri di metodo nell’accesso al finanziamento di progetti e all’assunzione dei servizi in convenzione.

Questo andazzo sta creando un danno incalcolabile a tutto il settore!

Cari amici del settore cooperativo: non è sufficiente (ed è troppo comodo) oggi “prendere le distanze dalla Cooperativa 29 giugno e sospendere i personaggi coinvolti” (citando la presidente di Legacoopsociali Paola Menetti). Facendo credere che si tratta di fatti isolati.

È inspiegabile come il mondo delle cooperative non sia in grado di prevenire e di eliminare le condizioni affinché tutto ciò avvenga. Condizioni che riguardino:

  • un riposizionamento della cooperazione sociale rispetto al tema della costruzione di un nuovo welfare e non un arroccamento nell’assicurarsi le briciole di un vecchio welfare;
  • una governance più chiara e democratica del sistema cooperativo;
  • un sistema di controlli interno non formale e di qualità.

Cooperative sociali: fundraising motore di cambiamento

Direte: cosa c’entra questo con il fundraising?

C’entra. C’entra tantissimo. Noi che come Scuola di Roma Fund-Raising.it ci adoperiamo per aiutare anche le cooperative sociali a guardare al fundraising come un modo più democratico, più moderno e più significativo di sostenere le loro attività in funzione della ricostruzione del welfare di comunità, non possiamo non prendere atto che sarà difficile essere presi sul serio da una comunità in cui si parla delle cooperative solo per malversazioni, imbrogli e interessi se non illeciti quanto meno personalistici.

Non ce la facciamo più (ci siamo stufati!) a lavorare per far crescere il fundraising delle cooperative in un mondo cooperativo che fa di tutto per creare ostacoli contro una nuova cultura della donazione e un nuovo rapporto tra cooperative sociali e comunità.

Più che le prese di distanza e le sospensioni dei cattivi, dal mondo cooperativo ci attenderemmo una reazione che sia tesa a fare pulizia e fare tabula rasa di un approccio meramente corporativo, autoreferenziale e teso a creare rendite di posizione. Che poi vuol dire danneggiare proprio quelle cooperative che invece vogliono affrancarsi da un vecchio modo di agire e di proporsi alla comunità

In questo processo di pulizia, un bagno nel fundraising sarebbe veramente molto utile: significherebbe raccogliere le risorse economiche assumendosi la responsabilità di un rapporto chiaro con la comunità ed essere pronti a rendicontare non con bilanci autoreferenziali e giornalistici disegnati ad hoc, ma con veri bilanci sociali e di missione.

Se non si fa così e non lo si fa subito, inevitabilmente il mondo cooperativo calpesterà la sua missione sociale: una missione che ha caratterizzato una delle più belle stagioni dell’impegno sociale italiano. E allora l’articolo 45 della Costituzione diverrà carta straccia. Con il rischio che la Comunità voti a favore della sua cancellazione.