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Fundraising per il welfare. A quali condizioni?

fundraising welfare

Come tutti sanno il 7 giugno scorso la Scuola di Roma Fund-Raising.it ha realizzato una conferenza pensatoio su un tema cruciale: può e vuole il fundraising avere un ruolo da protagonista circa la sostenibilità del welfare?

C’è stata un’appassionata, numerosa e variegata partecipazione di pubblico che ha visto rappresentate diverse componenti del non profit e del fundraising. Soprattutto vi è stato un dialogo con interlocutori del non profit che hanno condiviso in modo franco il loro punto di vista sulla questione.

Quindi devo ringraziare in modo particolare Caterina Torcia, Riccardo Bonacina, Marco Morganti e Marco Livia per la loro disponibilità a coinvolgersi in questo pensatoio. Così come devo ringraziare Pino Bongiorno, Eugenio De Crescenzio, Rossana Cerbone (delle tre federazioni delle cooperative sociali) e Gianni Palumbo (portavoce del Terzo settore del Lazio) per aver accettato di parlare del non profit e del fundraising con uno spirito critico piuttosto che con uno spirito rivendicativo.

Molti gli apprezzamenti ricevuti per l’impostazione della conferenza e per i contenuti che sono stati proposti (qui puoi scaricare la mia relazione introduttiva). Di questo sono veramente contento perché scegliere di trattare in modo critico e autocritico questa materia poteva forse risultare – in questo momento di crisi – un po’deprimente. Al contrario mi sembra che questo taglio abbia riacceso un po’di entusiasmo.

Vorrei però usare questo post per restituire alla platea dei fundraisers e delle altre persone interessate al tema, gli esiti della conferenza che assolutamente non sono delle conclusioni ma rappresentano i temi che dovrebbero essere oggetto di ulteriori riflessioni, magari con nuovi esiti di tipo operativo.

Dalla conferenza, infatti, emerge una propensione del mondo non profit e degli operatori di fundraising ad assumere un ruolo di protagonista circa la sostenibilità economica, sociale e politica del welfare di comunità. Appare chiaro, però, che tale assunzione di responsabilità passa attraverso la capacità di rispondere a 7 sfide.

Eccole.

7 sfide per non profit e fundraising

1Una presa di coscienza da parte dei gruppi dirigenti delle organizzazioni che il fundraising ha una rilevanza strategica non solo per esse stesse ma per la costruzione di un nuovo welfare.
Questo vuol dire che devono assumersi in prima persona la responsabilità di guidare la strategia di fundraising, senza pensare che essa possa essere lasciata al caso o delegata ad un mero livello tecnico. In modo più concreto va detto che devono smettere di pensare che il fundraising è una funzione periferica o al limite da esternalizzare verso agenzie in grado di trovare soldi e men che meno legare l’impiego di risorse professionali alla retribuzione a percentuale, che oltre ad essere immorale è il segno evidente che sul fundraising non si vuole investire.

2Investimenti strategici in formazione
Non c’è nuovo welfare senza fundraising. E non c’è fundrasing senza un rafforzamento delle conoscenze e delle capacità delle organizzazioni. Il non profit tende a credere che la formazione non è importante o tende a concepirla come un costo, mentre essa è un investimento. A spanne, possiamo dire che non più del 15% delle organizzazioni ha frequentato un corso di fundraising. Questo vuol dire che siamo sotto il livello della soglia di rilevanza per un paese moderno. È un impegno che si devono assumere anche e soprattutto le organizzazioni di secondo livello. Troppe opportunità sono state perse in tal senso (fondi interprofessionali, fondi europei, fondi governativi per la formazione, finanziamento delle fondazioni per i CSV) per investire in modo significativo nella formazione a tappeto sul fundraising.

3Empowerment del settore
Non c’è sviluppo di un settore se non vi è una politica su questo e le relative risorse per attuarlo. Questo è quello che si fa nel mondo dell’impresa profit: se si vuole sviluppare un mercato si investe strategicamente sulla capacità di produrre, sulla promozione, sulla ricerca, ecc.). Se poco è stato fatto sulla formazione ancora meno è stato fatto su azioni di sistema che permettessero di aumentare la capacità di raccolta delle organizzazioni. Anche in questo caso appare essenziale una presa di responsabilità delle organizzazioni di secondo livello. Così come delle istituzioni goverantive che se da un lato chiedono sempre di più al fundraising, dall’altro non hanno una politica di sviluppo di tale pratica.

4Ricerca
Anche l’investimento in ricerca e conoscenza è essenziale. Siamo un paese in cui la ricerca sul fundraising è ad un livello quantitativo e qualitativo molto basso. Abbiamo un po’ di indagini di tipo economico – non tutte con base statistica forte – che al massimo ci danno alcune conferme ma non ci spiegano cosa sta succedendo nei donatori. Si tratta di creare una strategia comune di ricerca come succede negli altri paesi a fundraising avanzato. La Scuola, insieme al Festival del Fundraising, ha lanciato un progetto di ricerca proprio su questo aspetto che potrebbe dare informazioni importanti circa le motivazioni dei donatori a donare per il welfare.

5Un patto di azione con i nostri interlocutori
Nel rapporto con i donatori (soprattutto aziende e fondazioni) dobbiamo uscire dalla logica del “io chiedo, tu dai” per arrivare ad una logica dello “stabiliamo insieme per cosa bisogna investire e come farlo”. Le sorti del welfare oggi sono soprattutto nella capacità dei soggetti privati di agire da protagonisti guidati da una responsabilità comune. I soli sforzi delle amministrazioni e del mondo della politica (pochi in verità) non bastano. Per cui è necessario che non profit, aziende, fondazioni, organizzazioni sociali e professionali, si siedano attorno ad un tavolo in cui pattuire insieme degli obiettivi comuni sui quali orientare le risorse attraverso delle politiche concordate.

Questo vuol dire anche e soprattutto il coinvolgimento attivo e partecipativo dei donatori alla vita dell’organizzazione e allo sviluppo delle proprie cause sociali. Ma anche una attenzione a quella parte di popolazione che non dona.

6Rendicontazione
Il mondo non profit deve assumere la rendicontazione sociale (bilancio di missione o bilancio sociale) come una funzione strategica del fundraising. Poche organizzazioni fanno rendicontazione sociale e pochissime lo fanno bene. I donatori non hanno bisogno di report autoreferenziali e celebrativi spesso non basati su standard e indicatori scientificamente definiti e oggettivamente verificabili.

Il vero bilancio sociale coinvolge nella valutazione anche gli stakeholders, ossia, tra gli altri, gli stessi donatori. E questo richiede un altro tipo di rapporto con essi.

7Controllo sul fundraising
La revisione di alcuni approcci di raccolta fondi mutuati in modo acritico e meramente strumentale dal settore commerciale e che ci spingono ad usare strumenti che, se da un lato portano a risultati economici immediati creano, dall’altro, un ambiente non proprio favorevole al fundraising. Probabilmente oltre a promuovere un rinnovamento culturale e professionale del fundraising si tratta anche di porre alcune regole alle quali attenersi per la salvaguardia di tutto il mercato e non solo delle singole organizzazioni.

Infine la Conferenza potrebbe sfociare in un itinerario di appuntamenti locali dove coinvolgere di volta in volta interlocutori privati e pubblici sul tema del ruolo del fundraising per il welfare. Anzi: a chi fosse interessato ad una prospettiva del genere, diciamo che siamo assolutamente contenti di condividere il nostro format. Fatevi vivi.