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Fundraising e sviluppo del Sud. I tempi sono maturi

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Alcuni eventi stanno dando un’accelerazione enorme ad un tema che sta a cuore a noi della Scuola di Roma Fund-Raising.it: il rapporto strategico tra fundraising e costruzione di nuovo welfare. E questa volta a partire proprio dal Sud piuttosto che dal Centro-Nord:

  • Il libro di Borgomeo “L’Equivoco del Sud”, che finalmente dà una visione strategica in merito alle questioni e alle politiche relative allo sviluppo del Mezzogiorno. Ne ha parlato qui Barbara Bagli e qui Vita, coinvolgendo una serie di interlocutori tra i quali il sottoscritto.
  • La Manifestazione “Con il Sud”, organizzata dalla Fondazione con il Sud e dal Forum del Libro, che ha rappresentato, tra le altre cose, un osservatorio sull’attuale impegno della cittadinanza attiva e del non profit per mantenere e ricostruire il welfare in campo sociale, culturale, dell’istruzione ecc., producendo coesione e capitale sociale necessario per lo sviluppo.
  • L’evento Citt’Attiva, organizzato a Napoli da CNV, Auser e CSV Campania, durante il quale si è discusso proprio del ruolo del non profit per la governabilità del welfare.

Queste sono solo alcune tra le molteplici iniziative che vedono in prima linea organizzazioni sociali nell’atto di costruire concretamente welfare.

A questo processo però, per quanto inarrestabile e “carsico” (ossia che si sviluppa in modo quasi invisibile e sotterraneo) e che produce numeri e fatti che possono essere valutati oggettivamente, manca ancora qualcosa.

Non sto parlando di qualcosa che manca sul versante della democrazia rappresentativa e amministrativa, per quanto è evidente che in assenza di una politica nazionale sul Mezzogiorno difficilmente si possano fare cose indispensabili quali garantire nel Sud standard di vita analoghi a quelli del resto del paese (lo stesso numero di scuole, di biblioteche, di strade, di treni, di legalità, ecc.).

Cosa manche a livello di politiche sociali?

Sto parlando invece di quel qualcosa che manca a livello di politiche sociali, svolte in modo autonomo da quelle parlamentari. E questo qualcosa è:

  • Una leadership del non profit e delle organizzazioni sociali (inclusi i servizi alla collettività erogati da enti pubblici, come le scuole) che, se da un lato è forte a livello di molti singoli progetti (Borgomeo afferma che vi sono almeno 35-40 dirigenti non profit di altissima qualità che le grandi aziende se li sognano!), non è ancora forte al livello di settore, con la conseguenza che è difficile fare sistema. Si è efficaci in modo straordinario alle radici dell’erba ma non si produce impatto ad un livello sistemico.
  • Manca una politica di fundraising moderna e di comunità. Uno sviluppo del mezzogiorno, basato sulla capacità autonoma delle organizzazioni sociali di governare nuove forme di welfare, ha bisogno necessariamente di un’economia sociale che oggi è rappresentata dal fundraising. Il mercato e l’economia pubblica in questo hanno fallito. Sono necessari ma non sufficienti. Ci vuole il fundraising. Cosa che nessuno ha capito fino in fondo.
  • La visione del non profit rispetto al fundraising, considerato spesso una zeppa da mettere al sistema del finanziamento pubblico e quindi relegato al ruolo di tappabuchi o di carità. Di conseguenza le organizzazioni non investono in professionalità nel fundraising e questo rischia di bloccare il processo di costruzione del welfare.
  • Le aziende che non hanno ancora compreso appieno il loro ruolo di soggetti attivi (le aziende sono soggetti sociali come hanno sempre detto economisti del calibro di Genovesi e come ha ben interpretato Olivetti nello scorso secolo), che devono concorrere con proprie risorse (non solo economiche) a stabilire un patto di azione strategica comune. Insomma: meno sponsorizzazioni e filantropia facile facile e più investimenti sociali lungimiranti, puntando alla qualità delle politiche e dei progetti e non alla retorica eticistica o caritatevole.
  • Una parte delle fondazioni che ancora è legata ad un approccio top-down: “Io so quello che serve e chiedo alle organizzazioni di farlo”. Si tratta invece di fare una politica filantropica che parta dalla domanda e non dall’offerta.
  • Gli enti locali e i servizi da loro amministrati, che devono ricostruire un rapporto con la comunità in cui le risorse richieste non sono le tasse, ma l’investimento nel bene comune, che è una responsabilità di tutti. E che quindi devono aprire le porte ai cittadini e alle loro organizzazioni nella governance dei servizi. E invece oggi biblioteche, scuole, servizi socio-assistenziali si trovano ancora in una logica burocratica per cui non si può fare fundraising, non si può far volontariato per i servizi pubblici, non si può… Care amministrazioni se volete cittadini che sostengano il welfare dovete spalancare loro le porte!
Solo così si potrà liberare tutta l’enorme potenza della società civile che, nonostante la crisi economica e nonostante la grave debolezza del nostro sistema politico e amministrativo, sta lavorando per salvare il Paese.

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