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Cultura e sponsor: dopo il divorzio e’possibile la riconciliazione?

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È di qualche settimana fa la notizia che il 2012 ha registrato un altro brusco calo delle sponsorizzazioni. Il che ripropone in modo cogente il tema del corporate fundraising o della filantropia di impresa che rappresenta non certo la principale, ma comunque una delle fonti più significative di sostegno della cultura

Ho avuto modo, grazie all’invito fattomi da Catterina Seia, direttore del Giornale delle Fondazioni, e dalla Fondazione Fitzcarraldo – con la quale la Scuola di Roma Fund-Raising.it da anni condivide un comune impegno sul fundraising per la cultura – a discuterne in occasione della presentazione dei dati dell’ultima ricerca realizzata da Stage up e da Ipsos sul futuro della sponsorizzazione.

La ricerca in sintesi ha mostrato che:

  • In quattro anni il mercato delle sponsorizzazioni ha subito una flessione del 28% (da 1,8 a 1,3 miliardi).
  • Il settore della cultura è quello che ha risentito maggiormente della crisi, con una caduta del 26,7% negli ultimi due anni. Pur essendo in flessione, lo sport resta di gran lunga il primo settore di investimento (67%) mentre la sponsorizzazione sociale (la cosiddetta solidarietà) tutto sommato tiene con un 27% dell’intero comparto.
  • Per il 2013 si prevede un ulteriore calo di oltre il 6% pari a 83 milioni di euro.

Circa le ragioni del calo, oltre a quella scontata dell’impatto della crisi economica sulle aziende, vengono segnalate:

  • La scarsa efficacia delle sponsorizzazioni culturali per il raggiungimento degli obiettivi di vendita che oggi sono prioritari in un’azienda.
  • L’intero budget della comunicazione e dell’advertising ha avuto un brusco calo e segna un riorientamento delle aziende verso i canali e i mezzi on line (unico settore di comunicazione che vede una crescita degli investimenti) con risorse che probabilmente prima venivano dedicate alle sponsorizzazioni.
  • La sponsorizzazione (in particolare quella culturale) è scarsamente misurabile in termini di numero di contatti raggiunti e audience.
  • Il quadro legislativo italiano non facilita e anzi penalizza le donazioni filantropiche e le stesse sponsorizzazioni e senza questa leva oggi è difficile sostenere investimenti in questo campo.
Tuttavia mi sembrano spiegazioni tanto giuste quanto parziali e scontate. Anche in questo caso, come in tutti gli altri casi in cui riflettiamo sulle tendenze della raccolta fondi, fossilizzarsi su una valutazione di tipo economico o legata al mero punto di vista del ritorno commerciale e promozionale per le aziende, mi sembra insufficiente a trovare risposte valide alla crisi stessa.

Ad esempio, se fosse vero che le aziende sponsorizzano meno in cultura perché ciò è meno funzionale alle vendite, come spiegare il fatto che invece le sponsorizzazioni sociali tengono? Sponsorizzare la solidarietà non porta certo ad aumentare le vendite! E peraltro mi viene da domandarmi: ma chi ha mai detto che la sponsorizzazione ha come funzione primaria quella di aumentare le vendite? Storicamente non è mai stato così. O almeno non lo è stato in modo diretto. La sponsorizzazione non è certo una strategia di breve termine rispetto agli obiettivi delle aziende.

Credo quindi che per dare ripresa al settore del corporate fundraising si tratta di lavorare su diversi fronti e non solo su quello meramente economico. Proviamo a definire 10 questioni di fondo dalle quali ripartire.

Corporate fundraising e cultura: 10 punti da cui ripartire

1Stabilire cosa sia sponsorizzazione, cosa sia filantropia, cosa sia investimento sociale e cosa li distingue l’uno dall’altro in modo da evitare di ragionare solo su uno strumento (sponsorizzazione) fortemente connotato come commerciale e un po’ desueto ed evitando così pericolosi equivoci.

2Ristabilire un patto tra enti e aziende sull’importanza di sostenere la cultura: oggi non è più tanto chiaro e scontato il perché vale la pena di farlo. E le vecchie motivazioni (prestigio, immagine, cura delle relazioni con gli interlocutori amministrativi e politici delle aziende, cultura in quanto strumento per creare turismo, vendita, ecc.) non sono sufficienti a garantire sostenibilità. Si tratta di capire se è possibile un patto su: “La cultura è importante. Punto”.

3Far diventare la cultura una causa sociale (o meglio farla tornare ad essere tale, visto che già nel Dopoguerra finanziare la cultura per le aziende ha voluto dire sostenere una causa sociale e non certo cercare prestigio, fama e pubblicità), che possa collocarla non tanto nella sponsorizzazione commerciale ma negli investimenti sociali strategici.

4Rafforzare il rapporto tra progetti culturali, enti culturali e comunità (che non va intesa solo come l’insieme degli “spettatori”) in modo da portare una dote più interessante e di maggiore valore sociale alle aziende: il coinvolgimento nella comunità.

5Creare attorno ai progetti culturali un sistema integrato di comunicazione che unisca on line, off line e social visto che le aziende hanno sempre più bisogno di comunicazione sociale e non meramente di quella pubblicitaria. Il settore di comunicazione sul quale gli enti culturali possono essere leader è senza dubbio la comunicazione sociale. Piuttosto che la comunicazione pubblicitaria e di massa.

6Pensare alle aziende come partner e come attori di una governance della cultura e non come soggetti terzi che mettono solo i soldi. In una logica di cittadinanza di impresa le aziende sono come cittadini membri di una comunità che investono sul suo benessere. Anche perché le aziende, proprio perché marginalizzate a meri finanziatori, tendono sempre di più a fare da sole diventando ideatori e produttori di iniziative culturali.

7Pensare non solo a prodotti da “sponsorizzare” ma a politiche di ideazione, progettazione e fruizione della cultura che siano longitudinali e non episodiche. Meno prodotti, insomma, e più strategie. Da elaborare insieme alle aziende.

8Valorizzare e facilitare il ruolo delle aziende che investono in cultura (creando un sistema di accreditamento di coloro che lo fanno) anche come correttivo al fatto che sul piano fiscale poco si potrà fare nei prossimi anni per agevolarle.

9Creare luoghi in cui i “colleghi” delle aziende e degli enti possano condividere itinerari formativi su come si chiedono e come si danno i soldi (tutto sommato i fundraisers e gli uomini di marketing e di responsabilità sociale di impresa sono colleghi di lavoro che si devono confrontare con problemi analoghi).

10Concentrarsi sulla domanda di cultura (e quindi dialogare con la comunità) per portare questa domanda alle aziende e lavorare insieme per produrre una risposta alle aspettative.

Insomma: un modo per evitare solo di piangerci addosso rispetto alla crisi economica e cominciare ad individuare e soprattutto praticare vie di uscita che permettano di costruire un futuro di maggiore sostenibilità della cultura grazie alla collaborazione con le aziende.

Qual’è la vostra opinione?