Chi mi conosce sa che ho il pallino per questo tema della comunità e del ruolo fondamentale che riveste per il fundraising.
Sono spinto a riprenderlo con forza da tre casi (o meglio fenomeni), che mi sono capitati sotto gli occhi nell’arco di pochi giorni occupandomi di fundraising per gli archivi: tre campagne tecnicamente diverse (tesseramento, contatto diretto, crowdfunding) ma che mettono in evidenza come il fattore “comunità” sia stato il traino del loro successo.
Le esperienze di tre archivi nel fundraising basato sui legami comunitari
Archivio Museo dei Diari
Un archivio di comunità. Nato a Pieve Santo Stefano (provincia di Arezzo), paese distrutto dai tedeschi in fuga dall’Italia per vendicarsi dei partigiani vincitori che, non potendolo fare con il proprio patrimonio storico, artistico e civico, sceglie di rafforzare la propria identità proprio a partire dalla memoria rappresentata dai diari personali degli individui.
Un’ “impresa” culturale di comunità, perché la popolazione locale è impegnata ogni anno a leggere, catalogare, valutare le migliaia di diari che arrivano da tutta Italia, rendendoli fruibili attraverso un bellissimo museo ad un vasto pubblico. Diventare sostenitore dell’Archivio (cosa che ho fatto dopo la mia visita), ha proprio il senso di entrare in una comunità di appassionati di questa memoria del genere umano, attraverso la quale rileggere la storia sociale e individuale con un’ottica personale (altro che storytelling!). Oggi mi sento parte di una comunità di interesse e questo è, tutto sommato, il motivo che mi ha spinto ad aderire.
Archivio di Stato di Genova
Francesca Imperiale, direttrice dinamica e testarda come un mulo (lo dico in senso positivo), evita e salta tutti gli ostacoli burocratici, amministrativi e di carenza di risorse economiche, inventando una campagna rivolta ai genovesi con lo scopo di trovare fondi per il restauro di scritti e stampe di inestimabile valore artistico, documentario e storico. Si è riusciti, così, a portare a compimento il recupero di centinaia di documenti riguardanti, tra le altre cose, la storia di Genova e dei suoi mercanti e la trascrizione di testi importanti altrimenti destinati al degrado.
Le ha provate tutte per usare canali di comunicazione di massa: i giornali locali, le TV locali e nazionali, i volantini e i manifesti). Alla fine, però, ciò che ha funzionato è stato il contatto diretto con i frequentatori dell’Archivio e la cura personale delle relazioni. Solo così si è messo in moto un vero e proprio passaparola, che è stato anche sostenuto dal fatto di aver portato l’Archivio nella comunità, incontrando decine e decine di associazioni, scuole, ecc. In questo caso si è di fronte ad una comunità identitaria che orbita attorno ad una città e alla sua società civile.
Archivio Carbone
Un fotoreporter del ‘900 ha accumulato 500.000 scatti su Napoli, la sua gente i suoi luoghi: memoria straordinaria di una città che, come tutti i grandi centri urbani, cambia in continuazione, correndo il rischio di smarrire la testimonianza di come era prima dei mutamenti intercorsi.
Tempo fa, l’Archivio ha lanciato una campagna di crowdfunding su Eppela con un obiettivo di 12.000 euro, arrivando a raccogliere 9.000 euro dopo pochissimi giorni. Questa è una storia di Internet trainata, però, da una comunità reale, fondata sul radicamento e sul senso di appartenenza alla propria città (come fu per la campagna “Un passo per San Luca” del Comune di Bologna). Leggendo la cronaca della campagna, è evidente come i donatori siano arrivati dall’attivazione di persone, negozi, centri culturali di Napoli. In un batter d’occhio sono stati raggiunti anche napoletani residenti in Canada, Olanda, Francia e chi più ne ha più ne metta. Un gioielliere della città partenopea allestisce nel suo negozio una mostra di scatti fotografici di Carbone… ed è subito comunità. I visitatori si riconoscono in questo legame inscindibile e vanno sulla piattaforma a donare. La pagina Facebook dell’Archivio è piena di messaggi lasciati da persone che dichiarano di aver convocato gli amici a partecipare, iscrivendosi alla pagina e andando a donare.
È una campagna dalla curva di crescita della raccolta impressionante. Merito senza dubbio di chi l’ha organizzata (tra questi c’è il mio amico Maurizio Imparato), ma anche e soprattutto della scelta di puntare sulla comunità e sul suo senso identitario e non solo sugli aspetti tecnici del progetto. La stampa, la pubblicità, la promozione arrivano dopo.
4 cose che faranno crescere il fundraising con i legami comunitari
Cosa ci portiamo a casa da queste esperienze? Quattro cose da realizzare per far crescere il nostro fundraising con i legami comunitari.
1 – Portare l’organizzazione e i suoi progetti nella comunità
L’Archivio dei Diari si è dotato di un piccolo museo portatile che assomiglia a un carretto siciliano dei Pupi che racconta le storie e le rappresenta in modo itinerante). La direttrice dell’Archivio di Stato di Genova ha realizzato, invece, il “tour” dei documenti restaurati e da restaurare, portando nella comunità (presso associazioni, fiere, quartieri, ecc.) l’oggetto del proprio lavoro, socializzandolo e presentandosi come un “membro” della comunità stessa, che porta contenuti, competenze e passione.
In tal modo, il senso di appartenenza ad un’unica comunità (di interessi, di territorio, ecc.) rende più facile l’adesione alla causa sociale e all’organizzazione e, di conseguenza, la donazione.
2 – Accogliere e integrare la comunità all’interno dell’organizzazione
L’Archivio di Stato di Genova punta sull’accoglienza all’ingresso di quanti fruiscono dei suoi servizi. Essi sono messi a conoscenza delle iniziative (in questo caso della campagna “Adotta un documento”). Gli viene spiegato che altre persone, che fanno parte della comunità, hanno partecipato. Lo stesso viene fatto dall’Archivio dei Diari durante la visita. In entrambi i casi, inoltre, l’organizzazione è pronta a recepire istanze e attese del visitatore. Nel caso di Genova, per esempio, viene domandato che tipo di documento si preferirebbe adottare (cosa poi è avvenuta).
Tutto ciò avviene anche on line nel caso dell’Archivio Carbone, dove molte persone interessate chiedono che vengano pubblicate immagini e foto a loro care. Appello raccolto coinvolgendo le stesse persone nel darsi da fare per finanziare il progetto. Ma c’è, come raccontavo, anche il negozio di gioielleria che chiede di fare una mostra fotografica nei suoi locali, trasformando la clientela in comunità.
In questo modo la tua causa sociale e la tua sfida diventano la causa sociale e la sfida di più membri della tua comunità.
3 – Valorizzare il senso di appartenenza
L’Archivio di Stato di Genova organizza una festa annuale, in cui consegna i diplomi di “adottatore” dei documenti, invitando per l’occasione tutti i donatori. L’Archivio dei Diari consegna ai donatori una tessera personale (come se si diventasse soci), che già di per sé rappresenta il senso dell’appartenenza e che prevede benefici “esclusivi” riservati a chi fa parte della comunità.
4 – Chiedere alle persone di coinvolgersi e attivarsi
Ci siamo mai chiesti se la vera aspettativa di molti donatori sia quella di donare o se invece vada oltre e sia anche quella di giocare un ruolo importante per la causa? Ci siamo mai chiesti se il donatore voglia fare qualcosa insieme a noi? Per sentirsi membri di una comunità, non si può solo “tifare per” ma bisogna “giocare insieme a”.
L’Archivio dei Diari è nato come impegno di una comunità: i cittadini collaborano con responsabilità a dar vita all’iniziativa (come si faceva per le tradizionali sagre paesane o feste di quartiere). Vi assicuro che l’unico rammarico che ho avuto nel diventare loro amico è che, abitando a Roma, non riesco a partecipare a questo momento comunitario in senso fisico.
Tale fattore è presente in tutti e tre i casi e, in particolare, in quello dell’Archivio Carbone, la cui campagna offre migliaia di occasioni per attivarsi: dall’amico-chiama-amico, al procurare un passaggio sui media, all’ospitare una mostra fotografica in un negozio. La temperatura della mobilitazione è tenuta costantemente alta. A tal proposito è il caso di dare un’occhiata alla loro pagina facebook e a quello che stanno facendo durante lo svolgimento della campagna.
Per avere una comunità attiva occorre rilanciare continuamente. È cosi che si produce un entusiasmo contagioso, caratteristico della folla, che ne fa una comunità con una responsabilità comune: anche sull’onda della “emulazione tra pari”.
Per concludere: sviluppare la comunità per il fundraising e la socialità
Insomma, creare e sviluppare comunità fa crescere il fundraising e produce il valore della socialità, di cui molti desiderano fruire. E, sapete, mentre ho scritto quest’articolo l’Archivio Carbone ha superato i 10.000 euro raccolti. Mi sa che questa comunità ce ne farà vedere delle belle!
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