Testo

Caro Governo, parliamoci chiaro: che ne vuoi fare del non profit e del fund raising?

5 per 1000

L’ultimo fatto, scoperto e documentato egregiamente da Carlo Mazzini, ossia la sparizione di 80 milioni che i contribuenti italiani hanno destinato con il 5 per 1000, rappresenta la goccia che fa traboccare il vaso.

Il vaso è quello del non profit in tutte le sue forme che da sempre rappresenta il pilastro principale del nostro welfare e che di recente, nonostante venga messo a dura prova, contribuisce in modo sostanziale a non far crollare il paese in uno stato di indigenza. Non sto dicendo un’enormità: basta mettere in fila i numeri di servizi, di persone e famiglie beneficiate, di posti di lavoro e di valore aggiunto prodotto, per capire che una buona parte del welfare è assicurato dal non profit. E che l’altra parte, prodotta dallo Stato, di fronte alla crisi, tende a sparire. Mentre la parte del non profit non cede. Anzi, se mancano le risorse pubbliche, si danna l’anima per trovare quelle private.

Ed è proprio questo il punto.

Ma se noi ci danniamo a trovare risorse private (a fare fund raising) e tu, Stato, contemporaneamente mi metti i bastoni tra le ruote, allora la cosa non può funzionare.

Quest’ultima “detrazione” statale applicata silenziosamente al 5 per mille è solo uno dei tanti ostacoli frapposti al fund raising. Il che fa pensare che non si tratta di un piccolo paradosso del sistema di amministrazione delle risorse pubbliche ma di una strategia vera e propria: minimizzare il non profit in quanto costo e non in quanto risorsa per lo Stato.

Allora diciamolo chiaramente. Il problema non è tanto la gestione del 5 per mille ma, una volta per tutte, decidere se il non profit è un costo del welfare o una risorsa.

Se è un costo allora deve essere tagliato e contenuto come tutti i costi. E in questo momento potrebbe anche essere giusto, visto il rischio di fallimento del paese, che cediamo un pezzo di 5 per mille allo stato. Sarebbe un caso molto singolare di donazione dal non profit allo Stato. Anzi carità!

Ma se il non profit e il fund raising sono una risorsa collettiva, allora ostacolare la raccolta di fondi è una follia. Anche in senso economico. Per tutto il paese.

Ecco qual’è il punto. Non basta domandare a Monti se intende correggere questo provvedimento. Bisogna che ci si sieda al tavolo e si decida con il Governo come investire strategicamente su una nuova forma di economia sociale e comunitaria (per quanto più antica dell’economia pubblica).

Le questioni importanti sono due:

1Quali sono gli obiettivi da perseguire?

2Come raggiungerli? Ossia, cosa fare (come chiede giustamente Carlo Mazzini)?

Occorre partire da alcuni spunti che riporto di seguito.

Obiettivi prioritari per il fund raising

  • Aumentare i margini dei regimi agevolati riguardanti le donazioni, adeguandosi agli standard di altri paesi, certamente sottoponendo il riconoscimento della legittimità delle organizzazioni ad accedere a tali regimi agevolati ad un’attenta valutazione di efficienza ed efficacia nell’uso dei soldi e non solo al profilo giuridico fiscale delle organizzazioni (in questo, tra le altre cose, ci metterei il fatto che la sponsorizzazione di iniziative sociali non comporti per le Onlus la perdita dell’identità di ente non commerciale, agevolare il payroll giving sul modello di altri paesi, ecc).
  • Nel quadro delle politiche di ripresa dello sviluppo, investire in azioni di crescita del fund raising delle organizzazioni non profit attraverso formazione, incubatori degli staff di fund raising e investire in ricerca e innovazione circa i modelli e gli strumenti di fund raising (ad esempio studiare e mettere a punto strumenti di investimento sociale in senso stretto e non solo di semplici donazioni).
  • Regolamentare non in senso restrittivo, ma al contrario come allargamento della base che vi può accedere, l’uso dei mezzi di comunicazione e di transazione che rappresentano un servizio pubblico (TV, radio, giornali, telefonia, ecc) in modo da rendere pienamente sfruttabile da tutto il non profit strumenti di raccolta di fondi di massa (credo che sia intollerabile l’indeterminazione e la scarsa trasparenza dimostrate in questi anni dalla RAI nella gestione degli spazi dedicati alle campagne di raccolta fondi con conseguente danno per le campagne di SMS solidale).
  • Creare insieme alle banche o con appositi istituti ad hoc linee di accesso al credito per lo sviluppo di campagne di fund raising. Spesso il fund raising non cresce perché le organizzazioni non hanno capacità di investimento su di esso. Anche questo è sempre stato fatto per le imprese profit e per i servizi pubblici (che hanno potuto contare su soldi da investire in promozione e altro a tassi favorevoli) mentre invece il fund raising non viene preso in considerazione.
  • Investire in campagne di sensibilizzazione e di promozione delle donazioni convocando a tavoli comuni aziende, fondazioni, organizzazioni della società civile affinché si crei un ambiente favorevole a sostenere nuove forme di economia sociale. Non si capisce perché lo Stato da sempre investa nella creazione di condizioni favorevoli di mercato per far crescere l’impresa privata e non faccia altrettanto con il non profit che produce forme di economia ad altissimo valore aggiunto per le politiche sociali.

Io penso che questo debba essere il compito della leadership del mondo non profit: costringere il Governo ad avere una politica chiara sul non profit e non semplicemente andare a piangere di volta in volta quando vi è un provvedimento dannoso. Altrimenti saremo sempre l’ultima ruota del carro. Per fare questo non basta tutelare i diritti del non profit (advocacy e lobby) ma bisogna avere un progetto di economia sociale da rivolgere al paese. Il consenso per vincere questa battaglia ce lo può dare solo la società e non certo il mondo della politica. Su questo il non profit è ancora troppo debole.

La stessa cosa credo debba fare il mondo del fund raising, per quanto ha una responsabilità minore non essendo un interlocutore diretto del Governo. Ma essendo noi il mondo degli operatori della raccolta fondi (e quindi “materializzatori” di questa economia, credo che possiamo essere un soggetto chiave e credibile per porre nel paese questa posta in gioco. A patto che ci impegniamo a far diventare il fund raising una questione politica, economica e sociale e non solo una branca del marketing.

Cosa fare? Ecco come la penso

Io credo che si tratti di fare un’azione sociale innanzitutto conquistando il consenso non tanto dei soggetti interni al non profit ma soprattutto i loro interlocutori: individui, aziende e fondazioni. Oggi fare un patto con loro risulta strategico per dimostrare che la questione della raccolta fondi non riguarda la sostenibilità delle organizzazioni ma la sostenibilità del welfare.

Se petizioni dobbiamo fare, se manifesti dobbiamo affermare, lo dobbiamo fare verso questi target e non solo verso il non profit, mondo che comunque dovrebbe essere più compatto nel muoversi su questi temi. Io vorrei vedere petizioni come quelle di Vita (che io ho firmato e che invito tutti a firmare) sottoscritte in pochi giorni da 200.000 organizzazioni non profit. Altrimenti…

Perché non fare anche un appello rivolto ai milioni di sottoscrittori del 5 per 1000 e chiedere a loro che vengano restituiti i soldi distratti dallo Stato? Un’azione che tutte le associazioni promuovano verso i loro donatori. Allora il piano dell’interlocuzione si sposterebbe utilmente da non profit/Stato a società civile/Stato.

Dobbiamo ottenere che gli organismi istituzionali o paraistituzionali che si occupano di non profit e nei quali ci sono dentro rappresentanze del non profit mettano in agenda le questioni di cui abbiamo parlato. Altrimenti è meglio uscirne fuori o comunque non avvallare il loro operato. È di recente costituzione il tavolo permanente di confronto per il non profit con dentro Forum, CSV e CONVOL. Se da lì non esce nulla sulla questione direi che è meglio lasciar stare.

Ma intendo anche parlare dell’ex agenzia delle Onlus (che effettivamente sul 5 per mille ha avuto un ruolo di una debolezza sconfortante fatto salvo poi predicare il sostengo del non profit nei convegni), dell’Osservatorio nazionale sull’associazionismo e quello sul volontariato del Ministero del Welfare, ma anche della Sede Permanente di confronto sulla programmazione sociale della RAI, le varie consulte del volontariato e affini al livello centrale e locale. Perché avvallare istituzioni che non prendono sul serio il non profit?

Tutto questo senza escludere una sana azione legale di tipo costituzionale e civile se ve ne sono gli estremi. Meno convegni e inciuci sulla sussidiarietà e più azioni per garantirla.

Attendo con grande interesse le vostre indicazioni su obiettivi e modalità di azione. Vi ricord che potete seguirci sempre su Twitter e Facebook.