Un mese fa circa ho tenuto a Venezia la seconda edizione del corso di formazione “Come migliorare la raccolta di fondi da famiglie e privati: tecniche ed esperienze per coinvolgere e appassionare la comunità scolastica”, organizzato da ItaliaScuola.it.
40 dirigenti scolastici partecipanti, con un grado di interazione altissimo condito da una fame di informazioni, spunti, esempi e consigli su come fare, che neanche nei corsi rivolti al non profit abbiamo riscontrato a questi livelli. Questo anche grazie agli interventi di Valerio De Feo (direttore di ItaliaScuola.it), Corrado Faletti (consulente del gruppo Spaggiari) e Laura Paolucci (Avvocato della Stato).
Porto da questo corso una buona notizia ai milioni di famiglie che hanno figli a scuola: il problema non è che la Scuola non fa fundraising. Al contrario ne fa tanto. Il vero problema è che lo fa senza avere un approccio strategico e senza dotarsi di un programma e di una funzione dedicata. Insomma, non è la voglia di farlo che manca ma le conoscenze per renderlo professionale, da un lato, e la volontà politica e direttiva di investirci in modo sistematico, dall’altro.
La Scuola: nuova frontiera per il fundraising
La Scuola quindi va ritenuta a tutti gli effetti una frontiera molto importante per il mondo del fundraising e neanche tanto lontana. Sono molti infatti gli aspetti che rendono rilevante il potenziale di fundraising del mondo della Scuola.
- È uno dei beni comuni maggiormente percepito dalla comunità. Per quanto è criticabile la qualità della scuola in Italia è sicuramente ritenuto un bene intoccabile e indispensabile.
- A scuola ci sono i nostri figli che oggi sono i soggetti a maggiore rischio e il cui futuro è messo in forte discussione e quindi essa si occupa di un soggetto sul quale siamo fortemente sensibilizzati.
- La scuola è un’istituzione comunitaria. È un luogo di comunità per vocazione, fortemente radicato sul territorio che ha il potere di entrare naturalmente in tutte le case, in tutte le famiglie.
- È un pezzo essenziale del welfare di cui oggi sentiamo con preoccupazione il venir meno e per il quale vi è una crescente voglia di attivarsi.
È chiaro che per trasformare quest’opportunità in realtà c’è bisogno di formazione, professionalizzazione, assistenza e ci sarebbe bisogno di una politica di promozione e incentivazione del fundraising. Ma di questo abbiamo parlato milioni di volte e sappiamo che non sarà mai fatto da questo governo e dai prossimi per tante ragioni.
Fundraising per le scuole: 4 condizioni perché funzioni
Parliamo invece delle condizioni che devono realizzarsi all’interno degli istituti e dei distretti scolastici affinché possano fare con successo il fundraising. A mio avviso sono 4 e sono compiti che le scuole dovrebbero fare subito prima di riaprire le attività.
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È necessario acquisire una più forte identità sociale. L’identità tecnico-amministrativa burocratica, tipica della Pubblica Amministrazione non è la veste più adatta per venire al banchetto della raccolta fondi. Peraltro la Scuola ha alle sue spalle una forte storia sociale fatta di scuole popolari, imprese di formazione non profit e una presenza significativa di comitati di genitori (che sono previsti dalla Legge). Inoltre la Scuola non è solo un servizio ma un luogo di socializzazione e di socialità, un’istituzione della società civile o come diciamo adesso un bene pubblico. Perché ad esempio le scuole non si dotano di un brand che connoti la sua natura sociale come avviene in quasi tutte le scuole del mondo? Non è meglio che chiamarsi “Plesso XII” o “Istituto Comprensivo 32”?
2È necessario radicarsi nella comunità. Questo è possibile solo se facciamo entrare la comunità nella scuola e se portiamo questa dentro la comunità anche al di là dello stretto mandato istituzionale. Integrarsi pienamente nella comunità vuol dire inserire la scuola in reti sociali relazionali e di interesse che possono veicolare in modo efficace la causa sociale dell’istruzione proprio perché largamente condivisa. Ho proposto ai partecipanti di confrontare le loro presentazioni istituzionali (i loro siti, ad esempio) con quello di un “distretto scolastico” di Seattle: tra i due c’è un abisso perché il primo appare un arido servizio scolastico e il secondo sembra il paradiso della comunità. Anche se fanno le stesse cose!
3È essenziale mettere al centro del fundraising la produzione di valore sociale aggiunto e non il mero bisogno gestionale. Altrimenti si rischia di fare campagne minimaliste basate sulla mera carità come nel caso della pessima campagna di Scottex (regalare la carta igienica alle scuole, manco fosse ospite della Caritas!). Innovazione tecnologica, programmi didattici avanzati, attività sociali e paradidattiche. Esperienze di incontro con il mondo del lavoro. Non manca certo la materia prima per chiedere soldi dando al donatore non tanto la possibilità di non “far chiudere” le scuole ma di produrre un’offerta di servizi di qualità.
4Infine, è necessario che la Scuola si doti di una governance allargata del fundraising. Ossia che in primo luogo se ne occupi il livello direttivo. Gli interventi registrati durante il corso citato all’inizio del post hanno espresso una convinta conferma di questo principio: il fundraising non può che iniziare dai dirigenti. Chi lo ha fatto fino ad oggi con qualche successo ha potuto riscontrare il successo di questo approccio. Ma governance allargata vuol dire che si tratta di coinvolgere nel fundraising della scuola famiglie, studenti, partner delle scuole, fornitori, sia per il loro valore testimoniale (in quanto membri della comunità). Sia in quanto apportatori di opportunità e relazioni sociali che altrimenti gli operatori della scuola farebbero fatica a procurarsi.
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