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Non profit, fund raising e mondo dell’informazione: che fatica!

Fundraising, informazione e tv

Pur essendo ancora in corso la campagna lanciata da poco più di una settimana dalla Fondazione Cesar (che si ispira all’impegno del compianto monsignor Cesare Mazzolari, missionario comboniano e a lungo vescovo di Rumbek, e proclamato “Padre” di questo Paese dalla sua stessa gente, attorno a cui è nata e cresciuta l’Ong) vorrei condividere con voi alcune considerazioni sul rapporto con il mondo dell’informazione.

Cesar è una Ong italiana che in Sud Sudan è tra le più importanti e riconosciute anche a livello internazionale e che io insieme alla Scuola di Roma Fund-Raising.it assistiamo nella raccolta fondi. È sembrato giusto, ad un anno dall’indipendenza del Sud Sudan e in occasione dell’anniversario della morte di padre Cesare, promuovere una grande campagna di sensibilizzazione e raccolta dei fondi necessari a completare il primo Istituto di formazione per gli insegnanti del paese, a Cuiebet, ormai quasi finito ed avviato, e iniziare i lavori di realizzazione del centro polisportivo che vi nascerà accanto. La causa è di grande rilevanza: gli insegnanti formati in questa scuola potranno garantire educazione di base a più di 5.000 bambini nei prossimi 5 anni.

Stavolta, malgrado i tanti, troppi rifiuti avuti in passato, la nostra campagna è stata accolta dalla Rai, che ne ha autorizzato i passaggi. I miei colleghi fundraisers lo sanno certamente, ma voglio sottolineare che questa autorizzazione del Segretariato Sociale Rai non è un risultato, ma solo l’inizio, il foglio di via. Poi inizia il calvario dei contatti con le redazioni, le telefonate, le email, gli incontri, ripetuti in una girandola di parole, chiacchiere, rimandi e confronti con un mondo che spesso ci assomiglia davvero poco.

Sia ben chiaro, ho trovato persone splendide come nel caso della redazione di Rai Sport, (che mi hanno fatto sudare freddo, ma sono stati bravi e ringrazio!) del Tg1, che ci ha ospitato con servizi e annunci, e anche altre, ma soprattutto nelle redazioni delle Radio 1 e Radio 2 Rai, dove professionalità, sensibilità e attenzione alle cause sociali sono di casa. Il loro supporto è stato davvero prezioso.

Ma mi sono scontrata anche con l’ottusità, l’indifferenza e l’arroganza di tante altre redazioni Rai, che nel migliore dei casi non rispondevano affatto alle mie richieste e nel peggiore…

Beh, sapete, un autore Rai ha tenuto a spiegarmi personalmente che la mia insistente richiesta non era “moralmente” accettabile (proprio così, moralmente!), perché

“Pensa lei che importi a nessuno che i bambini sudanesi vadano a scuola quando ci sono migliaia di nostri concittadini costretti ancora a vivere in tenda con la paura del terremoto e tante persone in difficoltà per la crisi qui da noi? Possiamo noi, con tanti temi importanti del paese, perdere tempo a parlare dei bambini in Africa?”

I giornalisti vanno alla ricerca di ciò che crea un consenso facile?

Giuro che queste sono state le sue parole, non credo potrò mai dimenticarle. Sono d’accordo, il momento è grave e chi meglio di noi che lavoriamo, come dire, al fronte, può saperlo, ed è assolutamente ovvio che ognuno, per la propria sensibilità, educazione, inclinazione dia più valore ad una causa rispetto che ad un’altra, e per fortuna è così. Ma nutro anche il sospetto che i giornalisti vadano talvolta alla ricerca di ciò che crea consenso facile, che è scontato, magari senza neanche approfondire più di tanto le notizie, piuttosto che fare un lavoro sulla notizia, sui dati e soprattutto sui contenuti specifici.

Ma è giusto che chi fa informazione faccia un’arbitraria graduatoria delle cause sociali, decidendo cosa è più importante? Ed è davvero moralmente non accettabile che qualcuno continui ad occuparsi dell’educazione in Africa anche se in Italia abbiamo dei problemi) Ma l’informazione sul sociale deve essere guidata solo dall’emergenza? E vince chi è più drammatico?

Lo so, certamente sono poco obiettiva, la mia risposta a lui è stata forte e dura, ma la riflessione è d’obbligo. Siamo tanti, le cause sociali, i problemi sono tanti, facciamo forse troppa confusione? Il mondo dell’informazione, chi informa, come ci vede, in realtà?

Forse la disattenzione verso il sociale di una parte del grande pubblico, che qualcuno lamenta,  non può essere anche una conseguenza della cattiva o disattenta e troppo spesso sommaria informazione? E come trovare un terreno di lavoro comune?

Questo dubbio poi, apre un’altra “nota storta”: la nostra campagna è andata e sta andando benissimo, abbiamo avuto molti spazi su radio e tv Rai, su diversi giornali anche importanti come La Repubblica, e sul web  (se siete curiosi, trovate la “rassegna stampa”, ancora in corso di completamento, sul sito www.cesarsudan.org). Abbiamo avuto centinaia di visite sul sito e nei nostri blog, tanti contatti su Facebook, con una grande aumento di visitatori che hanno anche girato e indugiato sulle nostre pagine. Ma al nostro numero verde gratuito, aperto tutto il giorno, tutti i giorni, poche, pochissime chiamate e non di donazione. Con forte delusione dei nostri volontari, restati per giorni accanto a telefoni muti, partiti con entusiasmo e restati in inutile attesa di provare la loro capacità di coinvolgere e raccogliere fondi.

Come leggere questo silenzio? Certo, le variabili sono troppe: siamo in estate, la gente è al mare, o comunque in giro può sentire la radio o leggere i giornali, può andare sul Web con i telefonini, ma non può chiamare perché il numero verde gratuito non accetta chiamate da cellulari, questa è la prima che mi viene in mente. E poi, il numero verde non è un sms solidale e non spinge ad un immediato contatto, probabilmente. Ma scegliere di veicolare l’SMS con l’esiguità di spazio a disposizione sarebbe stato un rischio eccessivo. Insomma, con qualche serio punto critico, la campagna, che aveva come obiettivo soprattutto la sensibilizzazione e la conoscenza, ha ottenuto buoni risultati e alla fine si vedrà, credo, anche il risultato in termini di raccolta fondi.

Ma la riflessione che mi viene da fare è: davvero abbiamo bisogno dei media per raccogliere nuovi donatori? Tanto impegno, vale il gioco? E a quali condizioni si possono ottenere risultati utilizzando i grandi canali di informazione? I target che vengono toccati dai grandi media, tenendo conto della difficoltà di controllare in modo pedissequo i canali e i mezzi che ti ospitano, possono portare nuovi donatori? Nell’era dell’informazione globale sembrerebbe di sì, ma a volte mi sembra che la comunicazione sociale e diretta alla fine porti maggiori risultati con minori spese.

Che ne pensate voi?