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Il Sud: uno straordinario laboratorio per lo sviluppo del fundraising

Nuovo fundraising dall'esperienza del Sud

La Scuola di Roma Fund-Raising.it ha raccolto insieme al Consorzio Nova una nuova sfida: fare del Sud d’Italia e delle sue organizzazioni della società civile un laboratorio di sperimentazione di un nuovo modo di concepire e di fare fundraising. Un fundraising che guardi non tanto alla sostenibilità delle organizzazioni non profit ma a quella del welfare, che al Sud oggi soffre una condizione di arretramento drammatica rispetto al resto del paese.

La Scuola di Fundraising del Sud nasce con una mission molto determinata: dotare gli attori sociali, istituzionali e filantropici impegnati nello Sviluppo del Mezzogiorno di una politica del fundraising in grado di rendere sostenibile i loro progetti e un nuovo welfare di comunità. Quindi quella di occuparsi, oltre che di formazione e consulenza, di elaborare vere e proprie politiche di fundraising offrendosi come spazio aperto in cui gli attori sociali vogliano fare rete per la sostenibilità del welfare.

Perché una Scuola di fundraising al Sud?

  • Perché la situazione di grave debolezza dei servizi pubblici e sociali nel Sud richiede un impegno particolare e dedicato specificamente alle organizzazioni meridionali.
  • Perché nel mezzogiorno c’è una nuova leadership di dirigenti del non profit, di amministratori, di uomini della cultura che ha bisogno di servizi professionali all’altezza della loro sfida di costruire un nuovo welfare di comunità.
  • Perché il Mezzogiorno rappresenta un laboratorio straordinario anche per il fundraising, affinché venga riconosciuto come uno strumento di economia sociale e non solo come uno mero strumento di episodica solidarietà.

La novità sta quindi anche nell’immaginare un nuovo fundraising che si proponga di rendere sostenibile il welfare di comunità su differenti presupposti politici, sociali ed economici.

Il primo presupposto è che i donatori (aziende, fondazioni, cittadini comuni, intere comunità) siano attori dei processi di sviluppo e non solo solidali spettatori. In poche parole: entrino a far parte della governance del welfare. Mi spiego.

Se un’azienda dona i soldi per una casa di accoglienza per soggetti svantaggiati, o se un cittadino dona per la sua biblioteca locale, entrano a far parte di quella comunità che concorre, insieme ai gestori di tali servizi, a raggiungere la mission apportando competenze, risorse, capacità di mobilitazione, innovazione e quant’altro possa essere usato per far crescere il livello di benessere della comunità.

Ad un livello più generale, se aziende, fondazioni amministrazioni locali impiegano risorse per sostenere cause sociali, si siedono ad un tavolo in cui elaborare insieme politiche di intervento integrate per rispondere a bisogni sociali ai quali oggi le politiche pubbliche non sono in grado di rispondere. Coordinando risorse, idee e sforzi piuttosto che abbandonando alla casualità e alla episodicità il proprio contributo filantropico.

Guglielmo Minervini (assessore regionale che ha partecipato al pensatoio di Bari) ha giustamente parlato a proposito di politiche sociali generative (ossia che generano nuove risorse) piuttosto che politiche redistributive che partendo dal poco che si può ottenere dalla finanza pubblica, si limitano a fare ciò che è economicamente possibile fare, a prescindere dai bisogni e dalle domande della comunità. È questo il nuovo ruolo che un’amministrazione locale si deve assumere.

Questa nuova dimensione del fundraising nasce anche dalla costatazione che oggi come oggi l’ammontare di donazioni e filantropia istituzionale (quindi senza contare i finanziamenti delle aziende e le donazioni non tracciabili che avvengono alle radici dell’erba) hanno in una regione un valore pari se non superiore al bilancio del piano sociale regionale. Una risorsa che peraltro potrebbe crescere di molto se fosse efficacemente e efficientemente orientata verso un sistema integrato di welfare piuttosto che in uno spezzatino di donazioni spesso guidate dalla sensibilità del momento, da piccole e grandi emergenze, da simpatie o addirittura da scambi di favori, ecc.

Insomma una iniezione di una giusta dose (non eccessiva) di razionalità e di visione strategica e non solo dalla forza della retorica del buonismo e della solidarietà a buon mercato.

Certo per fare questo c’è bisogno anche di una nuova cultura della donazione “consapevole” che, se da un lato dovrebbe spingere più persone e aziende a mettere a disposizione risorse, dall’altro dovrebbe incoraggiare un approccio più selettivo e informato al comportamento donativo.

Questa è una responsabilità in primis del non profit che, piuttosto che cedere ai vecchi paradigmi del “a te non costa nulla, a noi serve tanto”, del “ritorno di immagine e reputazione”, del “bisogna essere tutti più buoni”, dovrà puntare su professionalità della raccolta fondi, rendicontazione sociale e amministrativa dei fondi raccolti, rapporto paritetico con la comunità (che vuol dire capacità di ascolto e coinvolgimento senza invece tenere fuori i donatori dalla “partita” della propria mission), capacità di fare rete e sistema per ottimizzare gli interventi e i progetti e rendere più efficaci i finanziamenti.

Questa prospettiva è stata accolta in modo entusiastico dall’assemblea di Bari alla quale erano presenti molte organizzazioni non profit locali, interlocutori del mondo del credito, delle aziende e dei servizi pubblici che hanno apportato lungo questa prospettiva circa 30 indicazioni e raccomandazioni per una politica di sviluppo di un fundraising moderno e che concorreranno, insieme a quelle che raccoglieremo durante tutto il “Pensatoio” a definire un manifesto per un nuovo fundraising.

Che questo avvenga nel Sud non è un caso. La drammatica situazione di mancato sviluppo del Sud – di cui ha parlato in modo chiaro e convincente Borgomeo – spinge il non profit a imboccare nuove strade, differenti dal vecchio approccio di marketing delle cause sociali e più consono alla cultura sociale della nostra comunità. Ciò è per noi motivo di orgoglio.