Post con Tag ‘ambiente’

Sushi, fundraising e responsabilita’

Giovanni Soldini posa con un mako per la campagna Fishlove (foto di Alan Gelati non riproducibile e di proprietà della campanga Fishlove)

Vaste porzioni di oceano sono piene di plastica. Esistono ancora paesi che autorizzano la caccia alle balene. Grandi navi solcano i mari remoti per prelevare interi banchi di pesce in modo scientifico, assottigliando così le risorse ittiche e minacciando la sopravvivenza di molte specie.

Non voglio però convincervi della bellezza e dell’importanza del mare. Non ne sarei capace, non ne avrei le competenze e magari non c’è neanche bisogno che ve lo dica io. Voglio semplicemente raccontarvi una campagna di sensibilizzazione molto originale, che può servire come spunto anche per le vostre organizzazioni (e non è necessario vi occupiate di ambiente marino).

Si chiama Fishlove, nasce nel Regno Unito e si propone di accrescere la consapevolezza della necessità di conservare gli oceani e tutelare la vita marina. Appena l’ho vista, mi ha colpito per la sua creatività e per l’efficacia con cui riesce a veicolare il messaggio. Del resto, se così non fosse, non starei qui a descriverla.

Obiettivo della campagna è allertare la società dei rischi della pesca intensiva, pratica distruttiva per l’ambiente. Come raggiungere l’obiettivo? Semplice: attirando l’attenzione. Il dilemma che tanti comunicatori, esperti di marketing, consulenti e guru devono affrontare tutte le mattine all’alzarsi dal letto è sempre lo stesso: come posso catturare l’attenzione del pubblico e aumentare la platea di chi conosce attività e valori dell’organizzazione che seguo? Come far sì che più persone intervengano per aiutarla?

Occorre far centro e farlo in modo chiaro e il più diretto possibile.

Cosa si sono inventati allora quelli di Fishlove?

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Una “Montagna” di soldi per nuove cause sociali

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Vorrei allontanarmi, seppure momentaneamente, dall’arena propria della raccolta fondi, i soldi, per fare qualche riflessione sulle cosiddette buone cause, ossia la ragione per la quale si danno soldi.

Per impegni professionali mi sto occupando di raccolta fondi per un’organizzazione che si occupa del tema della montagna. Sì, avete capito bene: per la montagna. Ma “quale cosa della montagna?” – vi domanderete – le frane, le catastrofi, le colonie in montagna per i bambini poveri, gli sport invernali per disabili, le associazioni di alpinisti……? Può darsi, ma l’oggetto del fundraising dovrebbe essere la montagna in quanto tale. Impossibile, si direbbe. E in effetti la prima domanda che mi sono posto come consulente è: “ma la montagna è una causa sociale?”, o meglio, “a quali condizioni la montagna può essere una causa sociale?”. Bella sfida…

Come ormai capita spesso, Internet viene in soccorso. Già sfiduciato in partenza, digito sul motore di ricerca “montagna mission fundraising”. Come per magia mi capita il sito di Aiuto Svizzero alla Montagna, organizzazione sociale comunitaria presente in tutta la Svizzera da tanti anni, che opera per migliorare la considerazione nei confronti della popolazione di montagna, accordando contributi finanziari affinché essa possa valorizzare lo spazio in cui vive per sé e i suoi ospiti.

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Nuove forme di fundraising: The Recycling Factory

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Sono da poco tornato dalla National Convention 2014 organizzata dall’Institute of Fundraising, equivalente inglese dell’Associazione Italiana Fundraiser (ASSIF).

Devo riconoscere che si tratta di un grande evento dedicato al fundraising, organizzato alla perfezione. La tre giorni vede la partecipazione di oltre 2.500 persone e il livello del dibattito è davvero alto. Lo consiglio vivamente a chi vuole partecipare ad un evento internazionale dedicato al fundraising. Tanti e vari gli sponsor del Festival, tra cui, per mia sorpresa, ho trovato anche l’italiana Charity Stars, che dopo il successo in Italia ora sbarca anche in Gran Bretagna. Un grande in bocca al lupo per questa nuova avventura.

Tra le tante novità quella che mi ha colpito maggiormente è l’esperienza di The Recycling Factory.

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Una storia di fundraising tra arte, rifiuti e riscatto: Waste Land

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Vi voglio raccontare una storia che parla di rifiuti, povertà, arte e fundraising.

È un racconto che arriva dal Brasile, paese fratello del nostro dove molti italiani hanno trovato nuove speranze in passato e che in queste settimane è stato sotto i riflettori per i Mondiali di Calcio. Un paese di cui in realtà si sa poco dalle nostre parti e quel poco che si sa è spesso frutto di stereotipi.

Ciò che va di moda chiamare social innovation è un ingrediente di tanti progetti nel sociale realizzati in Brasile. La cosa vale sia per quanto portato avanti da organizzazioni non profit di grande spessore sia per azioni di dimensioni ridotte e mirate a contesti ben definiti, che spesso inconsapevolmente mettono in piedi azioni innovative e di forte impatto. Ebbene, la nostra storia forse appartiene a questo secondo tipo di progetti e ha per protagonista un piccolo gruppo di persone.

Jardim Gramacho è stata per molti anni la più grande discarica di rifiuti di Rio de Janeiro e, secondo molti, dell’America del Sud. Per molto tempo i camion compattatori si sono recati qui per sversare l’immondizia di milioni di persone. Tutt’attorno a Jardim Gramacho si è sviluppato un mondo fatto di esseri umani che hanno trovato qui la loro fonte di sostentamento: in tutta l’America latina (e me ne sono occupato personalmente da ricercatore e cooperante) tanta gente vive grazie alla raccolta e alla vendita dei materiali riciclabili. Si tratta di un lavoro onesto e degno per chi lo fa, importante per l’ambiente e utile per i conti pubblici delle amministrazioni locali (che vedono ridurre di molto le quantità di rifiuti da trattare in discarica). Ma tutto questo fa parte di un altro discorso.

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