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Post con Tag ‘organizzazioni sociali’

Bilancio di missione: un’opportunita’. Il caso dell’Associazione Kim Onlus

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L’occasione di riflettere sul tema della rendicontazione sociale delle organizzazioni non profit mi è stato offerta dalla presentazione del bilancio di missione 2015 dell’Associazione Kim presso la Protomoteca del Campidoglio, a Roma, il 22 novembre 2016.

L’Associazione Kim, guidata da Paolo Cespa, da 19 anni si è assunta l’impegno di tutelare l’infanzia più disagiata e malata proveniente da luoghi in cui il benessere fisico ed economico non è garantito. Alla presenza dell’Assessora alla Persona, Scuola e Comunità solidale del Comune di Roma Laura Baldassarre, moderatrice dell’incontro, e insieme a Massimo Coen Cagli, direttore scientifico della nostra Scuola, sono stato invitato a presentare il bilancio di missione.

In generale il bilancio di missione:

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Quando il cibo supera le barriere del diverso

La Kumpania Scampia

Ho sempre pensato che la strada per l’inclusione sociale non possa essere soltanto una lotta durissima contro etichette e barriere. Per quanto indispensabile, questo non è sufficiente.

Non voglio essere fraintesa. In momenti preoccupanti come questo, dove imperversano le conseguenze di Mafia Capitale e dove il Matteo Salvini di turno può permettersi di fare pubblicamente affermazioni agghiaccianti, razziste e al limite del ridicolo sulle comunità Rom e di migranti, la denuncia di episodi di razzismo, xenofobia e intolleranza è un dovere etico e politico imprescindibile. Ma denunciare non basta.

“Disagio”, “esclusione”, “discriminazione” sono parole potenti, importanti, ma l’esaltazione della diversità e di condizioni problematiche, per quanto legittima e necessaria, è un’arma a doppio taglio che rischia di ingabbiare le persone in definizioni e categorie ristrette, se ci fermiamo qui.

E questo rischio lo corriamo in primo luogo noi che lavoriamo nel sociale, se non siamo capaci di andare oltre ed elaborare soluzioni tangibili che superino la rigidità delle definizioni e un’ottica meramente assistenzialista, che vadano a risolvere un problema comune ad una collettività che vive sullo stesso territorio, se pur costituita da gruppi variegati, e che puntino sulla diversità come fattore di arricchimento e forza, più che di divisione.

Certo, è più facile a dirsi che a farsi, ma gli esempi di chi ci prova con convinzione, professionalità e perseveranza, ottenendo risultati positivi, esistono, e non bisogna guardare soltanto all’estero per trovarli.

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EsTetica. Il salone sociale dell’Associazione Pianoterra onlus

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Guest post a cura di Elisa Serangeli dell’Associazione Pianoterra Onlus.

Era il primo marzo del 2013 e, come ogni anno, cercavamo un modo per festeggiare con le nostre mamme la Festa della Donna.

Siamo un’associazione che nasce a Napoli nel 2008 per realizzare progetti a sostegno delle famiglie più vulnerabili, in particolare della coppia madre-bambino. Una delle psicologhe voleva offrire alle nostre utenti un momento di “evasione” e leggerezza che, di fatto, non si concedono mai. Così abbiamo deciso di organizzare un incontro di “Trucco e Parrucco”, in cui le mamme stesse si sarebbero “fatte belle”, truccandosi, dandosi consigli e prendendosi cura l’una dell’altra.

Quell’ 8 marzo le nostre mamme sono arrivate in sede per farsi truccare, sentirsi attraenti, condividere un pomeriggio tra donne, e parlare del più e del meno. Durante l’incontro una nostra operatrice ha raccontato le origini della Festa della Donna, a partire dall’incendio alla fabbrica Triangle di New York dove persero la vita 146 lavoratori, per lo più donne.

Finito il racconto una delle mamme esclamò: “Questa non è una festa, è un dramma!”. E il dramma ha preso forma, in quella stanza, attraverso i racconti di due di loro che per la prima volta, da quando venivano in Associazione, ci hanno parlato di abusi e violenze subite e sempre taciute.

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Cambio vita: divento consulente in fundraising

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Era una notte buia e tempestosa… No, non sto tentando di scrivere un romanzo.

Voglio parlarvi di me, della mia esperienza personale.

A chi non è capitato un periodo in cui si vorrebbe rivoluzionare ogni angolo della propria vita, buttare all’aria e ricostruire tutto. A me è successo. E succede spesso. Ma si sa: sono dei gemelli…

Nel 2006 il mio lavoro principale era quello di traduttrice per una famosa organizzazione sanitaria internazionale. Traducendo i loro progetti, così precisi in ogni singolo dettaglio e azione, ho capito che volevo dare una struttura all’esperienza fatta nel volontariato. Insomma volevo dare una sferzata al mio lavoro. A quarant’anni.

Così mi sono iscritta ad un Master in Project Management per le Ong e le Onp. Il master prevedeva uno stage alla fine. Ora capite bene che, a quarant’anni, non potevo permettermi di fare uno stage in cui fare fotocopie e che soprattutto non potenziasse le mie capacità professionali. Per cui cominciai a selezionare attentamente le possibili opzioni.

Una sera una mia amica mi parlò molto bene di un certo Coen Cagli, uno dei nostri professori del Master, esattamente professore di fundraising strategico. Coen Cagli? Ah sì, quello altissimo: la sua lezione era stata una tra le più interessanti. La più interessante.

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L’importanza della mission nel sociale: 3 casi che parlano da soli

Mission, nonprofit e fundraising

La mission è uno dei cinque assi alla base del successo di un’organizzazione non profit alla ricerca di fondi per finanziare i propri progetti. È perciò vitale renderla chiara e rappresentarla al meglio a tutti i soggetti potenzialmente interessati a donare fondi.

Da un’indagine GfK Eurisko risulta che il 58% dei donatori regolari sostiene un’organizzazione non profit per la sua mission/causa. Lo stesso avviene anche nel caso del 77% di donatori saltuari.

Il coinvolgimento personale e la fiducia sono motivazioni meno decisive nella scelta del donatore rispetto all’identità sociale espressa nella mission.

Sono sempre più, perciò, gli attori sociali che hanno compreso l’importanza di una mission chiara dall’esterno e condivisa all’interno dell’organizzazione, per diventare protagonisti di sviluppo sociale con il sostegno dei donatori e nel ruolo di investitori sociali.

Lo slogan: “No mission? No money!” riassume l’incapacità, soprattutto per il non profit, di attrarre risorse economiche senza una mission, con il conseguente “No money? No mission!”.

Mi hanno favorevolmente impressionato alcuni episodi recenti rivelatori delle scelte di fondo di tre attori sociali importanti (due non profit e una banca cooperativa) nella “difesa” della propria mission. Mi hanno ricordato che ogni organizzazione non profit deve salvaguardare il suo patrimonio di valori e la propria identità al di là di scelte momentanee di convenienza.

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