Presente in ogni angolo del Paese con servizi alla persona e progetti educativi e culturali, la cooperazione sociale italiana si distingue per eccellenze e ottimi interventi.
È della scorsa settimana la notizia che, nella terribile disgrazia ad Agrigento per l’esplosione di una vulcanella in cui hanno perso la vita due bambini, i primi ad intervenire a sostegno dei genitori in stato di grave shock sono stati due psicologi di una cooperativa sociale di quel territorio.
Nel Lazio la cooperazione sociale ha risposto massicciamente e con progetti di grande valore aggiunto agli avvisi pubblici della Regione dai titoli significativi: “Fraternità” e “Innova Tu. La nuova sfida dell’innovazione sociale”.
È la dimostrazione della capacità reale di incidere con progettazione innovativa.
Sembra, tuttavia, non fare ancora parte della cultura della cooperazione sociale, l’ambizione di acquisire nuovi saperi e strumenti di lavoro sul fundraising, strategico per creare nuovo benessere sociale e un’economia civile intorno a progetti di welfare capillari ed efficaci.
Questo nonostante la caduta verticale dei fondi pubblici sia vista e percepita come minaccia reale alla sostenibilità dei progetti operativi.
Manca una cultura condivisa e diffusa fra le cooperative, che forse ancora ritengono il fundraising (e le donazioni che esso permette di ricevere a favore delle cause sociali) come attività pittoresche e lontane.
Prendendo, per esempio, il Fondo paritetico interprofessionale nazionale per la formazione continua nelle imprese cooperative (Fon. Coop), ci si accorge che nel fabbisogno formativo delle Onlus, concordato fra impresa e sindacato dei lavoratori, manca quasi del tutto la domanda di formazione sul fundraising. Stiamo parlando di un grande fondo di riferimento del non profit, al decimo anno di vita con piani formativi per oltre 139 milioni di euro e con 343.000 partecipanti.
Sembra proprio che non passi l’importanza di acquisire un metodo per avviare una raccolta di risorse da più mercati (individui, imprese, fondazioni).
Formazione al fundraising: perché le cooeprative investono poco
Credo che il motivo dell’esiguo dispiegarsi di corsi di formazione sul fundraising sia dovuto all’assenza, nella politica generale delle associazioni di rappresentanza delle imprese cooperative e delle più importanti organizzazioni sindacali, di un capitolo dedicato al fundraising quale strumento che favorisca la sostenibilità nel tempo dei progetti.
Anche l’offerta formativa dei corsi regionali in Italia non si discosta molto da quanto appena detto: è sporadica e legata alla sensibilità di poche persone che sono venute in contatto con il mondo della raccolta fondi.
Peccato, perché la cooperazione sociale, rinunciando a formare professionisti della raccolta fondi, rinuncia:
- Ad una crescita dei fondi non provenienti dal settore pubblico, che permetterebbero di attivare progetti innovativi, superando almeno in parte una situazione stagnante, se non di contrazione, e aumentando la sua presenza nei territori.
- Ad un’adeguata ricollocazione all’interno delle singole cooperative di dirigenti e quadri che hanno gestito servizi importanti e sentono il bisogno di intraprendere nuovi percorsi professionali.
- Ad investire per il welfare del futuro, che sempre più si caratterizzerà come un insieme di risorse pubbliche e private, cui si aggiunge l’intervento della comunità per la “cura dei bisogni emergenti”.
La carenza di investimenti è la causa ultima di mancati start-up delle attività di raccolta fondi nelle cooperative sociali. È la conseguenza di scelte politiche, non compiute, per avviare un nuovo welfare partecipato, in cui si chieda anche ai donatori di contribuire, con un investimento sociale, a contrastare le fragilità sociali emergenti.