Testo

Categoria: Cooperazione allo sviluppo

Fare fundraising con la pancia e con la testa

fundraising-africa-bambini-malnutriti

In questo periodo è sui principali canali di comunicazione uno spot di raccolta fondi per combattere la fame in Africa in cui si vede la classica immagine del bambino africano con la pancia gonfia.

Io continuo a chiedermi: “Cui prodest?”. A chi giova questo tipo di comunicazione? Al beneficiario? Non credo. Mi sono immaginata il bambino della foto tra dieci anni… uscito da quella situazione drammatica, con un lavoro, un’istruzione, una famiglia e che per molte persone sarà sempre il bambino con la pancia gonfia, anche se lui è diventato altro.

Al fundraising? Anche qui non credo. Qualcuno potrà obiettare: “Però hanno raccolto moltissimi soldi”. Ottimo! E la relazione con il donatore? È di tipo emergenziale? Ovvero il donatore dà i soldi solo perché vede il bambino con la pancia gonfia? E questo lo rende un donatore costante?

Mi sono messa nei panni del donatore e ho pensato: “Se continuate a far vedere il bambino con la pancia gonfia la vostra azione forse non è così efficace”.

Leggi subito

Il fundraising tra adrenalina, endorfine e buon senso

mappa-africa-verde

È di qualche giorno fa l’articolo del Guardian, ripreso da Vita.it, circa gli aspetti critici del metodo dei dialogatori.

Nell’articolo compaiono due informazioni importanti.

La prima è che quello dei dialogatori, a dispetto di quello che si dice, non è un metodo molto produttivo dal punto di vista del fundraising. I dialogatori, “acchiappano” un donatore (il termine l’ho usato di proposito visto che la sceneggiatura che noi vediamo ai banchetti è proprio quella di una rete per acchiappare pesci) ma le loro reti e gli ami che usano (per continuare la metafora) sono deboli e i donatori dopo poco, scappano!

La valutazione di questa forma di fundraising andrebbe fatta anche in questi termini. È chiaro che probabilmente per una singola organizzazione che cerca di acquisire nuovi donatori quello che conta è il dato relativo ai donatori “acchiappati”. Se però adottiamo l’ottica dell’intero non profit e quindi dell’intero mercato dei donatori dovremmo domandarci se questa pratica – per come è stata attuata – non contribuisca in parte a far calare il numero dei donatori.

Peraltro ormai appare chiaro che non è del tutto vero che i donatori acquisiti con queste tecniche siano i più fedeli, visto che è stato calcolato che durano in media un anno. Come mai due anni fa dicevano invece che sono donatori tra i più fedeli?

Leggi subito