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Post con Tag ‘fundraising’

Ciao, ti e’ arrivato il mio messaggio?

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“Ciao, ti è arrivato il mio messaggio?”

Nell’ultimo mese ho sentito rivolgere questa domanda per tre volte. Due volte mi è stata posta personalmente; la terza volta l’ho sentita fare a un passante prima di essere “abbordato” a mia volta. Dopo quest’ultimo episodio e il modo in cui sono stato trattato, non ho resistito e ho deciso di andare un po’ fuori tema rispetto al mio consueto, provare a riflettere e sentire il vostro parere.

Vi spiego. A farmi questa domanda sono stati giovani dialogatori di grandi organizzazioni non profit (una in realtà rappresentava l’ufficio italiano di un’agenzia delle Nazioni Unite). Dopo essere stato fermato due volte per strada credendo proprio che qualche mio conoscente mi stesse chiamando, la terza volta è capitato mentre aspettavo l’ascensore di un edificio pubblico per recarmi (di corsa, come spesso mi capita) a una riunione di lavoro.

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Fundraising a tutta birra

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A Berlino è nata la Birra di Quartiere: Quartiermeister, oltre che il marchio della birra, è il nome di un’impresa sociale che eroga profitti, tramite un’associazione, a progetti di promozione del territorio. Chiunque può presentare i propri progetti e, forse, vederli finanziati. Dalla prospettiva del cittadino-consumatore, la birra solidale offre un grande beneficio: rispetto agli altri prodotti, permette di tutelare la propria città e il territorio circostante. Genera occupazione e attiva l’economia locale, trattenendo risorse che, nel caso peggiore, potrebbero finire a una società quotata in un lontano paradiso fiscale.

L’idea non è nuova: la birra trappista è un prodotto di raccolta fondi per le comunità cistercensi ormai tradizionale, imprese sociali che distribuiscono parte dei ricavi esistono già e lo sarebbero banche e casse di risparmio italiane con le loro fondazioni. Non è nemmeno nuova l’idea del prodotto a km 0 che si va diffondendo nella nostra cultura. L’aspetto più interessante di Quartiermeister, tuttavia, è la combinazione di aspetti diversi: l’uso di un prodotto di consumo comune come strumento di raccolta fondi, la nascita “dal basso” del progetto da parte di liberi cittadini, il forte legame territoriale, la vocazione sociale. Ma ciò che più spicca è la natura imprenditoriale “pura”, associata all’ambizione di stare sul mercato senza sconti e senza violare le regole della concorrenza e imparando la lezione del marketing sociale.

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Altro che primo settore: #fuorileliste!

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Cara Agenzia delle Entrate,

come saprai sono passati più di 600 giorni da quando i nostri donatori hanno destinato il loro #‎5×1000‬‬ del reddito alle organizzazioni del #‎terzosettore‬ , ma non sappiamo ancora quanto nel complesso hanno devoluto a noi. E non sapremo mai, nonostante le nostre ripetute richieste, chi sono e dove stanno.

1 giorno per fare la donazione e 600 giorni per conoscere le #‎liste‬ e i risultati.

È un ritardo ingiustificabile sotto ogni aspetto. E soprattutto un ritardo che produce un danno enorme non solo per noi ma soprattutto per le cause che sosteniamo e per i beneficiari della nostra azione sociale. Cause e beneficiari che evidentemente non possono fare affidamento solo sull’intervento pubblico e per i quali il nostro ruolo è essenziale.

D’altro canto è proprio lo Stato che, dalla Costituzione in poi, fino ad arrivare alla riforma del nostro settore, ha sempre affermato l’indispensabilità del nostro lavoro. Ma una cosa è affermarla e altra cosa è sostenerla concretamente.

Ci è piaciuto lo slogan di Matteo Renzi: “Il Terzo settore, in verità è il Primo settore!”. E ci ha fatto anche sperare e “volare alto”. Ma i fatti, almeno quelli che dipendono dalla macchina burocratica e amministrativa ci hanno fatto tornare con i piedi per terra in modo crudo e doloroso.

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Fare fundraising con la pancia e con la testa

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In questo periodo è sui principali canali di comunicazione uno spot di raccolta fondi per combattere la fame in Africa in cui si vede la classica immagine del bambino africano con la pancia gonfia.

Io continuo a chiedermi: “Cui prodest?”. A chi giova questo tipo di comunicazione? Al beneficiario? Non credo. Mi sono immaginata il bambino della foto tra dieci anni… uscito da quella situazione drammatica, con un lavoro, un’istruzione, una famiglia e che per molte persone sarà sempre il bambino con la pancia gonfia, anche se lui è diventato altro.

Al fundraising? Anche qui non credo. Qualcuno potrà obiettare: “Però hanno raccolto moltissimi soldi”. Ottimo! E la relazione con il donatore? È di tipo emergenziale? Ovvero il donatore dà i soldi solo perché vede il bambino con la pancia gonfia? E questo lo rende un donatore costante?

Mi sono messa nei panni del donatore e ho pensato: “Se continuate a far vedere il bambino con la pancia gonfia la vostra azione forse non è così efficace”.

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Una “Montagna” di soldi per nuove cause sociali

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Vorrei allontanarmi, seppure momentaneamente, dall’arena propria della raccolta fondi, i soldi, per fare qualche riflessione sulle cosiddette buone cause, ossia la ragione per la quale si danno soldi.

Per impegni professionali mi sto occupando di raccolta fondi per un’organizzazione che si occupa del tema della montagna. Sì, avete capito bene: per la montagna. Ma “quale cosa della montagna?” – vi domanderete – le frane, le catastrofi, le colonie in montagna per i bambini poveri, gli sport invernali per disabili, le associazioni di alpinisti……? Può darsi, ma l’oggetto del fundraising dovrebbe essere la montagna in quanto tale. Impossibile, si direbbe. E in effetti la prima domanda che mi sono posto come consulente è: “ma la montagna è una causa sociale?”, o meglio, “a quali condizioni la montagna può essere una causa sociale?”. Bella sfida…

Come ormai capita spesso, Internet viene in soccorso. Già sfiduciato in partenza, digito sul motore di ricerca “montagna mission fundraising”. Come per magia mi capita il sito di Aiuto Svizzero alla Montagna, organizzazione sociale comunitaria presente in tutta la Svizzera da tanti anni, che opera per migliorare la considerazione nei confronti della popolazione di montagna, accordando contributi finanziari affinché essa possa valorizzare lo spazio in cui vive per sé e i suoi ospiti.

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