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Post con Tag ‘fund raising’

Fatti mandare dalla mamma a fare fund raising…

Fundraising: che lavoro è?

Non so voi ma mia mamma non sa quale sia il mio lavoro e ogni volta che provo a spiegarglielo la vedo trasecolare.
Me la immagino, mentre parla di me con le sue amiche, alla domanda “Ma tua figlia che lavoro fa?”, creare dei diversivi per distogliere l’attenzione, come la famosa barzelletta del carabiniere.

Ma mia mamma non è la sola. Quando conosco qualcuno e mi chiede che lavoro faccio, le reazioni sono tra le più disparate. Alcuni pensano sia una malattia e il loro viso assume un’espressione del tipo: “Tranquilla si guarisce… la scienza ha fatto enormi passi avanti”; altri, spaventati, pensano che, solo perché ti occupi di raccolta fondi, prima o poi chiederai soldi anche a loro (e non sono molto lontani dalla verità); altri, i migliori, ti rispondono immediatamente: “Eh ho tanto bisogno io di fondi!”. Infine ci sono quelli che fanno gli inseriti, che hanno capito e poi scopri che in realtà non hanno capito nulla.

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Anche noi abbiamo i nostri Rockefeller; ma perche’ non li cerchiamo?

dollari

Recentemente David Rockefeller (l’unico figlio ancora in vita del famoso filantropo americano) ha reso noto di aver fatto un lascito di 100 milioni di dollari alla Rockefeller University e al Museum of Modern Art di New York.

Questo è solo uno dei tanti esempi di uomini benestanti americani che intendono contribuire con una cospicua elargizione alle cause sociali o culturali per vedere l’impatto del loro operato nel mondo e per realizzare un significativo cambiamento nelle cose che li circondano.

L’esperienza americana e inglese è costellata di casi come questo e le organizzazioni non profit di certo non si fanno scappare l’opportunità di sollecitare tale forte inclinazione al dono da parte dei più benestanti. Chiedere ed ottenere major gifts è diventata ormai una pratica consueta realizzata dalla maggior parte delle organizzazioni anglosassoni, dalle più grandi, che implementano la loro major gifts unit con esperti che fanno ricerca di profilo e prospecting avanzato, alle strutture più piccole, che utilizzano tecniche di ricerca più semplici.

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Forum della cooperazione allo sviluppo: una sfida alla quale non puo’ mancare il mondo del fund raising

Fundraising-cooperazione-internazionale

Nel Documento di Economia e Finanza, il Governo ha riconosciuto che “un riallineamento graduale della cooperazione allo sviluppo permetterà di rilanciare il profilo internazionale dell’Italia, la presenza in aree strategiche, le eccellenze e i vantaggi comparati, qualificandosi come un investimento con ritorni in termini di credibilità”.

L’affermazione non è di poco conto perché in un momento di crisi economica che generalmente porta a far abbassare l’asticella dei servizi e delle politiche sociali, puntare sulla cooperazione allo sviluppo come parte del motore del rilancio dell’Italia non è una scelta scontata.

Che la questione di un generale arretramento della nostra cooperazione internazionale non sia solo l’effetto della crisi economica e quindi della diminuzione degli stanziamenti pubblici è abbastanza evidente. Oltre al deficit economico hanno pesato su questo arretramento un deficit politico (mancanza di idee e di volontà), una forte frammentazione dei soggetti istituzionali e non profit che operano in questo campo, un mancato rinnovamento della cultura della cooperazione e dell’aiuto umanitario, che hanno fatto deperire il terreno di coltura della progettualità e molti altri aspetti.

Ma sarebbe ingenuo però non riconoscere, in questo contesto di crisi della cooperazione italiana,  la centralità del tema dei finanziamenti. Ecco perché il mondo del fund raising è chiamato a svolgere un ruolo centrale in questo dibattito, in quanto deve concorrere responsabilmente a rispondere, non tanto al problema di come si finanziano le organizzazioni non profit, ma più in generale come si finanzia la politica di cooperazione allo sviluppo, visto che il tradizionale sistema di finanziamento pubblico è non solo insufficiente ma anche inefficace.

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Finanziare la ricerca pubblica con il fund raising: e’possibile?


Innanzitutto vorrei condividere con voi un caso che, seppure preso con le dovute cautele, ci introduce al tema che voglio trattare: il fund raising per la ricerca pubblica.

Si tratta di uno dei tanti progetti di ricerca che si stanno finanziando, in parte, con una piattaforma di crowdfunding dedicata alla ricerca scientifica: Sci-Fund Challenge, una comunità di scienziati e ricercatori che si dà da fare non poco per finanziare la ricerca e per condividerla con la gente comune.

Il tema mi sta molto a cuore perché nell’ultimo corso tenuto dalla Scuola di Roma Fund-Raising.it sulle strategie di fund raising abbiamo avuto modo di ospitare ricercatori del CNR nel campo della medicina e della fisica. Due rappresentanti tipici di quel mondo di ricercatori che vengono sottovalutati dal nostro paese, candidati quindi a fuggire insieme ad altri cervelli in paesi più interessati alla ricerca o a migrare presso aziende (anche se in questo momento non appare facile).

Spesso ritenuti impiegati inutili e nullafacenti e quindi produttori del nostro debito, questi ricercatori non solo devono combattere ogni giorno per far andare avanti le loro ricerche (che non fanno solo per proprio interesse, ma per il bene della comunità) ma, come nel caso dei nostri due partecipanti, addirittura si dannano l’anima per andare a trovare i soldi per finanziarla. Insomma: come i loro colleghi di Sci-Fund, ma con molte meno cartucce da sparare.

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Caro Governo, parliamoci chiaro: che ne vuoi fare del non profit e del fund raising?

5 per 1000

L’ultimo fatto, scoperto e documentato egregiamente da Carlo Mazzini, ossia la sparizione di 80 milioni che i contribuenti italiani hanno destinato con il 5 per 1000, rappresenta la goccia che fa traboccare il vaso.

Il vaso è quello del non profit in tutte le sue forme che da sempre rappresenta il pilastro principale del nostro welfare e che di recente, nonostante venga messo a dura prova, contribuisce in modo sostanziale a non far crollare il paese in uno stato di indigenza. Non sto dicendo un’enormità: basta mettere in fila i numeri di servizi, di persone e famiglie beneficiate, di posti di lavoro e di valore aggiunto prodotto, per capire che una buona parte del welfare è assicurato dal non profit. E che l’altra parte, prodotta dallo Stato, di fronte alla crisi, tende a sparire. Mentre la parte del non profit non cede. Anzi, se mancano le risorse pubbliche, si danna l’anima per trovare quelle private.

Ed è proprio questo il punto.

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